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I primi passi del marketing

I primi passi del marketing

I Settanta sono gli anni i cui il marketing comincia ad affermarsi anche in Italia, coinvolgendo ogni tipo d’impresa. Il mito della “comunicazione integrata” coinvolge anche il turismo, allargandosi rapidamente fino al neonato comparto congressuale

Nelle prime pagine del suo compendio edito da Hoepli (Milano, 2005), uno dei maggiori esperti di tecnica turistica, Giorgio Castoldi, scrive: «Così come gli altri bisogni, anche quello turistico, con la conseguente domanda, ha subìto una profonda trasformazione negli ultimi trent’anni, in corrispondenza della trasformazione produttiva e culturale da una società industriale a una società post-industriale. Il bisogno turistico in una società industriale era ancora un bisogno secondario, prevalentemente individuale e residuale (nel senso che la scelta di una vacanza si poneva solo dopo aver soddisfatto molti altri bisogni primari)». Da quegli anni, com’è noto, sono in uso diversi tipi di turismo. E altrettanti sono i principali strumenti “basici” della cassetta degli attrezzi del marketing e della comunicazione, da quegli anni in poi utilizzati con sempre maggior consapevolezza nel e per il turismo, di cui diamo conto nelle pagine che seguono.
La comunicazione integrata: il mito

La comunicazione integrata: il mito

Il mondo della comunicazione rispecchia abbastanza fedelmente la vita reale; anch’essa ha i suoi modelli, successi e insuccessi. Costruito negli Anni 70 il Mito della “comunicazione integrata” fu l’obiettivo cui tendevano operatori e committenti del marketing e della pubblicità. Lo stesso Kotler la definisce “stato ottimale della comunicazione d’azienda, caratterizzato dal fatto che i contenuti seguono percorsi coordinati così da evitare confusione nei rapporti tra azienda e ambiente. (È quella che) realizza un livello apprezzabile di coerenza tra comunicazione interna e comunicazione esterna, rendendo la comunicazione aziendale nel suo complesso efficace ed efficiente”. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Perché saper comunicare richiede la volontà di farlo, oltre alla consapevolezza del messaggio e alla strategia per divulgarlo. Da allora, il binomio efficace ed efficiente è entrato stabilmente nel gergo professionale degli addetti ai lavori, dove gode tuttora buona salute.
La comunicazione interna

La comunicazione interna

Quella della comunicazione interna e dei relativi pubblici fu, per la maggior parte degli addetti, una scoperta avvenuta a sostituire l’impegno “creativo” teso a illustrare e vendere i prodotti delle aziende committenti. Si trattava di produrre informazione e acquisire un tipo di consenso sostanzialmente diverso da quello richiesto ai consumatori. Negli anni Settanta concetti come “patrimonio informativo aziendale”, corporate loyalty, stakeholder, mission, si facevano strada per la prima volta su larga scala. In quel periodo gli addetti scoprivano questo strumento del marketing mix, acquisendo la consapevolezza che compito della comunicazione interna era il coinvolgimento della forza lavoro negli obiettivi aziendali, nei suoi progetti strategici e i valori entro cui i diversi livelli e le diverse funzioni aziendali trovano la loro collocazione. Realizzando in questo modo “adeguati livelli di motivazione” (per dirla con le parole di Kotler).
Imagine all the people

Imagine all the people

Cantava John Lennon nel 1971. Parafrasiamo il titolo della sua canzone, inclusa nelle 100 più belle di tutti i tempi, per confermare che nel marketing e nella comunicazione l’immagine se non è tutto, poco ci manca. Spulciamo il dizionario di marketing del solito Kotler: il lemma “immagine” occupa quasi tre pagine. C’è quella aziendale (corporate image) per l’azienda e la brand image per la marca; c’è l’immagine del prodotto (product image) o della linea di prodotti e l’immagine del punto di vendita (store image). Per non parlare poi dell’immagine (o concetto) di sé (self image) che a sua volta si articola in: effettivo (come il soggetto si vede), ideale (vorrebbe vedersi), sociale (come pensa gli altri lo vedano)… Una buona immagine richiede molto tempo per costruirsi, e il concorso di fattori esterni favorevoli. Basta invece un attimo, un solo evento avverso o passo falso dell’impresa o dei suoi uomini per distruggerla. Spesso irrimediabilmente.
Management by Objectives. Una risorsa

Management by Objectives. Una risorsa

Nell’ambito della gestione delle Risorse Umane la gestione per obiettivi (da cui l’acronimo inglese MbO) è un metodo di valutazione del personale basato sui risultati raggiunti a fronte di obiettivi prefissati, e non sulle competenze espresse. Una metodologia che fece il suo ingresso nel management Anni 70 e si è sempre più perfezionata negli anni successivi. Al conseguimento degli obiettivi è legato, spesso, un riconoscimento economico. Ma nei 70 si utilizzò la tecnica MbO come strumento di gratificazione mediante premi (i cataloghi di oggetti, i viaggi incentive soprattutto) del personale “motivato”. La gestione per obiettivi, è noto, richiede una stretta integrazione tra il sistema di pianificazione e controllo, il sistema di valutazione del personale, il sistema incentivante. A partire da quegli anni si è consolidata la consapevolezza che gli obiettivi assegnati devono essere: chiari, misurabili, sfidanti, raggiungibili, temporalmente definiti, significativi (cioè adeguati alle possibilità della persona), concordati con l’interessato.
Incentive: non solo Maslow

Incentive: non solo Maslow

Come abbiamo già avuto modo di vedere, gli incentivi sono premi che stimolano determinati comportamenti, possono essere in forma monetaria o di status symbol e prendono nome anche di benefit. Superata la fase dei “bisogni primari” (la teoria dei bisogni umani raffigurata dalla “piramide” di Maslow è stata concepita tra il 1945 e il 1954), alle imprese si offriva un’opportunità nuova: premiare i meritevoli per l’obiettivo (il target, spauracchio di ogni dipendente). Professionisti del settore e le numerose incentive agency (spesso contigue alle promotion agency) affermatisi in quegli anni erano portatori di un nuovo Vangelo: l’incentivazione deve essere motivante nei premi, stimolante negli obiettivi, ragionevole negli sforzi richiesti. Essendo i Settanta anni di consumismo e status symbol, i cataloghi premi erano costellati di prodotti “ricchi”: orologi, videoregistratori, televisori… Ma i premi più gratificanti erano i viaggi all inclusive, in Paesi esotici, lontani, oltre oceano.
Il business travel: una scoperta

Il business travel: una scoperta

Dagli Anni 70 in poi si consolida una settore chiave dell’offerta turistica: il turismo d’affari, il business travel, che riguarda i viaggi per scopi commerciali, di consolidamento delle relazioni economiche, di contatti tra possibili partner in affari. Al suo interno si colloca la sottocategoria Mice (meeting, incentive, congress, event) che riguarda i viaggi per riunioni, di incentivazione, per congressi, per fiere. Le caratteristiche del viaggiatore d’affari sono sensibilmente diverse da quelle di chi viaggia per altri motivi. Il prodotto-viaggio d’affari va considerato come un pacchetto di servizi di mutevole estensione e composizione. La filiera del business travel comprende produttori, venditori grossisti e dettaglianti (oggi questa terminologia è superata a favore di tour operator e travel agent) che forniscono ai loro clienti (aziende, gruppi, organizzazioni) un prodotto composto da servizi base: trasporto e alloggio, informazioni e assistenza (prima, durante e dopo il viaggio).
Gli educational, promo e premio

Gli educational, promo e premio

Contemporaneamente al nascere e diffondersi del viaggio d’affari, si apre all’epoca un filone di “viaggi per far scoprire i viaggi” (per congressi e incentive soprattutto): gli educational tour, ideati e realizzati con funzione di incentivazione, informazione e (anche) di promozione di particolari prodotti turistici, come destinazioni, aziende ricettive, trasporti e servizi collegati. Organizzati dai produttori dei viaggi stessi (a volte anche dagli enti turistici pubblici), erano rivolti a pubblici ben definiti: giornalisti d’informazione e media di settore, agenti di viaggio, tour operator. Avevano più scopi, come abbiamo detto: una funzione di incentivazione innanzitutto, perché potevano rappresentare un premio assegnato dai tour operator alle agenzie rivenditrici che avevano venduto di più e meglio; ma anche una funzione d’informazione, in quanto gli educational permettevano di far conoscere ai venditori un prodotto che a loro volta avrebbero dovuto proporre alla loro clientela; e infine una funzione promozionale, di sensibilizzazione della stampa verso destinazioni e servizi turistici che altrimenti avrebbero avuto poca o nessuna visibilità su media e periodici di settore. Anche le pubblicità si allineano a questa strategia, proponendo la scoperta congressuale come “antipasto” di una futura vacanza.
Il “congressuale”, mercato di nicchia

Il “congressuale”, mercato di nicchia

Le attività congressuali, collegate con lo spostamento e il soggiorno in località diverse da quelle di residenza abituale dei partecipanti, rivestono un rilevante interesse per il turismo. Dato poi che la maggior parte di queste attività si svolge in bassa stagione rispetto ai movimenti turistici di massa, esse costituiscono – se ben pilotate – un eccellente complemento al lavoro della cosiddetta “alta stagione”. Anche questo segmento di mercato, per quanto riguarda l’Italia, ha seguìto parallelamente lo sviluppo del turismo d’affari; negli Anni 70 era prevalentemente “domestico” e l’outgoing riguardava soprattutto le associazioni e i meeting internazionali, che per la loro natura richiedevano poco marketing promozionale e una comunicazione prevalentemente di carattere “informativo”. Già da allora la partecipazione ai congressi risultava legata sopra tutto all’esigenza di “avere contatti umani” e solo in subordine il “desiderio di scoprire posti nuovi”, caratteristiche tipiche dei congressi medici.
Le parole del turismo Anni 70

Le parole del turismo Anni 70

Come ogni attività umana, anche il turismo si connota per il linguaggio, eloquente segnale di modo d’essere e d’intendere. Concludiamo questa breve rassegna degli strumenti di marketing e di comunicazione confrontando le parole maggiormente in uso nel turismo diventato di massa in quegli anni, e in quello professionale, come era utilizzato dalla maggioranza delle persone in quel periodo. In quest’ultimo caso, le parole elencate sono di uso corrente ancor oggi.

Il turismo leisure

Automobile: il turismo nazionale era prevalentemente su quattro ruote.
Famiglia: andava in vacanza l’intera famiglia.
Mare: la meta privilegiata delle vacanze degli italiani.
Relax: la vacanza era “stanziale”, di riposo assoluto.
Agosto: tutti in ferie tutto il mese, l’Italia intera “chiudeva”.
Pensioni e campeggi: le forme di soggiorno più diffuse (bilanci familiari piuttosto modesti).
Viaggi a forfait: i viaggi di vacanza “tutto compreso”.

Il gergo professionale
Aeromobile: macchina volante che la gente chiama aeroplano.
Fare i tacchi: si dice quando un volo è chiuso e si accinge a decollare.
Allottment: un certo numero di camere a condizioni particolari a disposizione dell’agenzia di viaggio.
Booking: prenotazione. Semplicemente.
Cash: pagamento in “contanti”.
Check-in: locuzione più frequente nel settore aereo col significato di controllo, verifica, ma anche registrazione (della merce in arrivo). Nel comparto alberghiero invece si usa anche la locuzione check-out col significato di: lasciare l’albergo dopo aver pagato il conto.
In – Out: nella corrispondenza tra AdV e Hotel si usano le espressioni in per indicare l’arrivo del cliente in Hotel e out per la sua partenza.
Pax: questo vocabolo non vuol dire pace, ma è l’abbreviazione della parola inglese passeggero (passenger). Con buona pace dei viaggiatori, dovunque essi vadano.
Definizione di marketing

Definizione di marketing

Tra le possibili definizioni di “marketing”, una delle più accreditate è quella che identifica questa disciplina tecnica come “il processo sociale e manageriale mediante il quale una persona o un gruppo ottiene ciò che costituisce l’oggetto dei propri bisogni e desideri creando, offrendo e scambiando prodotti e valori con altri”. Come si vede dallo schema sotto riportato, il marketing come lo conosciamo nasce nel secondo dopoguerra negli Usa e viene esportato in tutto il mondo occidentale. In Italia si afferma efficacemente a partire dagli Anni 70.
Tradizionalmente, gli esperti usano suddividere la storia del marketing (agire sul mercato) in periodi, secondo lo schema che segue:

1850/1900
= orientamento alla produzione
1900/1950 = orientamento alla vendita
1950/2000 = orientamento al marketing