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Gli Anni 80 - La società

Cosa resterà di quegli Anni 80

Scanzonati, colorati, incoscienti... gli Ottanta ebbero in un certo senso il compito di far dimenticare le difficoltà del decennio precedente. Non furono soltanto rose e fiori, ma di certo segnarono un’epoca di fiducia nel futuro e grande spensieratezza

Cosa resterà di quegli Anni 80

Anni Ottanta: nasce Internet (non come la conosciamo oggi) e al cinema arrivano gli effetti speciali, cade il muro di Berlino, esplode Chernobyl – portando con sé spaventose conseguenze e un referendum sul quale, in Italia, ancora oggi dibattiamo –, il mondo assiste in diretta al disastro dello Shuttle Columbia, l’Italia vince il Mondiale di calcio, nasce il cinepanettone sulle ceneri degli Anni di piombo, le notti iniziano con l’happy hour, irrompe sulla scena la trasgressiva Madonna e gli yuppie griffati dalla camicia al calzino danno la scalata alle stanze dei bottoni. I difficili Settanta dei cineforum “segue dibattito”, dell’impegno e dell’autocritica, del “piombo” delle Brigate Rosse e delle grandi manifestazioni di piazza sono di colpo lontanissimi.   Il nostro presente nasce così, nel decennio di passaggio all’era digitale e di revanscismo più inconsapevole che premeditato. Questo, di per sé, merita già una riflessione. Sì, perché quel periodo che ha visto mutare vorticosamente scenari ed equilibri geopolitici internazionali nonostante ciò è citato più per eccessi e superficialità che per elevate virtù. Insomma, nel ricordo collettivo sono anni leggeri sotto tutti i punti di vista. Si affermano come un rigurgito di periodi cupi fortemente politicizzati con stili di vita improntati al consumismo, all’esteriorità e allo svago. È il decennio della tecnologia, dell’esagerazione e del narcisismo.

Gli anni del thatcherismo e di Papa Wojtyla

Gli anni del thatcherismo e di Papa Wojtyla

Bizzarra dicotomia, quella del decennio “otto”. Mutano gli scacchieri internazionali in un caleidoscopio senza precedenti di fatti di cronaca, ma il pensiero collettivo tende, almeno apparentemente, alla spensieratezza. Impossibile non porre in relazione cronaca e storia per tracciare le evoluzioni che hanno toccato il costume e la società.   Nel 1980 gli Stati Uniti impongono l’embargo totale nei confronti dell’Iran islamico, Ronald Reagan vince le elezioni presidenziali e muore Tito, leader jugoslavo in carica dal 1953. Il 13 maggio 1981 Papa Giovanni Paolo II viene gravemente ferito da Alì Agca in piazza San Pietro e quell’anno Israele conquista le alture siriane del Golan. In Italia scoppia lo scandalo della loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli, che pone fine al governo Forlani. Nel 1982 muore il leader dell’Unione Sovietica Leonid Breznev mentre Israele invade il Libano e il leader palestinese dell’Olp Arafat è costretto a fuggire a Tunisi. La guerra delle Malvinas, rivendicate alla Gran Bretagna, apre la strada alla democrazia in Argentina. Nel 1983 la tory Margaret Thatcher, sulla scia della vittoria della Falkland viene rieletta Primo ministro del Regno Unito mentre Bettino Craxi è presidente del Consiglio in Italia. L’anno successivo viene rieletto Reagan alla Casa Bianca e a Padova, stroncato da ictus durante un comizio, muore il segretario del Pci Enrico Berlinguer. In India viene ucciso il Primo ministro Indira Gandhi.  

Da Chernobyl alla perestrojka

Da Chernobyl alla perestrojka

Nel 1985 scompare il presidente Sandro Pertini ed è l’anno di Michail Gorbaciov, eletto segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Si incontrerà a Ginevra con Ronald Reagan per la riduzione degli armamenti. L’anno dopo, mentre il leader sovietico avvia la perestrojka, il 26 aprile esplode un reattore nucleare a Chernobyl e la terribile nube radioattiva copre l’Europa. L’Irangate scuote la presidenza Reagan e la tensione tra Usa e Libia porta a uno scontro aereo nel Golfo della Sirte, a seguito del quale gli americani bombardano Tripoli. Arriva il 1987 e la Lady di ferro Margaret Thatcher viene eletta per la terza volta primo ministro mentre Reagan e Gorbaciov, sempre a Ginevra, siglano lo storico trattato sulla distruzione dei missili balistici Icbm e cruise e la riduzione delle armi nucleari. È il tempo della glasnost, che l’anno dopo porta anche al ritiro, dopo otto anni di conflitto, dall’Afghanistan. Il 41esimo presidente Usa è George Bush e in Italia muore Giorgio Almirante. Nel 1989 si svolgono i fatti di sangue di Tienanmen, a Pechino, e crolla il Muro di Berlino. È l’inizio di una nuova era, segnata dalla progressiva (e rapida) dissoluzione dell’impero sovietico.  

Yuppie, professionisti della scalata al successo

Yuppie, professionisti della scalata al successo

Young Urban Professional, ovvero, yuppie. Così si definirono – culla del neologismo fu Manhattan, il cuore finanziario della Grande Mela – i giovani businessmen rampanti degli Anni 80, in massima parte desiderosi di lavorare in borsa e tutti di fare rapidamente soldi a palate. A New York, maniacalmente fissati con il look, gli abiti firmati – in particolare quelli di stilisti italiani come Armani, Versace e Valentino – e le macchine sportive, frequentavano locali come lo Studio 54 e le feste più esclusive. Sulla falsariga del modello americano, lo yuppie di casa nostra – portato al cinema da Carlo Vanzina – emula prendendo a esempio Gianni Agnelli e il suo orologio portato sul polsino, esibendo uno stile di vita consumistico e cinico. In Italia come all’estero, anche la cocaina gioca spesso un ruolo chiave in questa forzata visione di divertimento costoso e senza limiti.

Paninari, troppo (poco) giusti!

Paninari, troppo (poco) giusti!

Dal bar “Al Panino”, di via Agnello, al Burghy di piazza San Babila, sempre a Milano, la strada è breve. E lastricata di accessori cult come il piumino Moncler (dal cui logo, probabilmente, deriva anche la definizione di “gallo” come sinonimo di paninaro stesso), le Timberland o gli stivali Durango, le borse Naj-Oleari, le cinture El Charro, le moto Zündapp 125 “taroccate” con l’adesivo 175 (così potevano andare in autostrada), i jeans Americanino, gli occhiali Ray Ban, le felpe Best Company, le calze Burlington. Il tutto con alcune varianti, quando il fenomeno uscì dalla cinta muraria del capoluogo meneghino per tentare – senza però riuscirvi – di diffondersi in tutta Italia. Adolescenti consumisti (naturalmente con i soldi di papà), etichettati, uniti da uno slang demenziale, superficiali ed edonisti diedero spunto al comico Enzo Braschi per una divertente parodia nel programma televisivo Drive In. Nati senza una stretta connotazione politica, alcuni si identificarono successivamente con un’ideologia di destra. La specie si è estinta senza lasciare eredi.

Da Arpanet a Internet

Da Arpanet a Internet

Dopo un decennio di sviluppo di Arpanet, nata nel 1969 e finanziata dalla Defence Advanced Research Projects Agency, la Darpa, agenzia dipendente dal Department of Defense degli Stati Uniti – e quindi con un’impronta sostanzialmente militare – tutto era pronto per il grande balzo verso Internet. Talmente pronto che la sperimentazione precorse addirittura i tempi, facendosi ricordare come un virus ante litteram. Il 27 ottobre 1980, infatti, un errore nell’header di un messaggio durante un test di propagazione delle email bloccò completamente Arpanet ma dalle sue ceneri spiccò il volo l’Internet che conosciamo. Dopo Norvegia e Inghilterra, l’Italia fu il terzo Paese europeo a connettersi alla rete: era il 30 aprile 1986. La connessione ebbe luogo nell’Università di Pisa, che ospitava uno dei gruppi di ricerca più avanzati del Vecchio Continente e alcuni suoi membri avevano lavorato con Robert Kahn e Vinton Cerf, considerati i padri di Internet. Alla fine degli anni Ottanta i computer in rete erano più o meno centomila.

Il cellulare dilaga

Il cellulare dilaga

La persona che – nel bene e nel male – ci ha cambiato la vita si chiama Martin Cooper, direttore della sezione Ricerca e sviluppo della Motorola (l’uomo che, come abbiamo già visto, fece la prima chiamata da un telefono cellulare il 3 aprile 1973). Ma dovettero trascorrere dieci anni prima che l’azienda statunitense mettesse in commercio il primo modello, dall’esorbitante costo di quattromila dollari. Da quel momento in poi, fu la pandemia. In Italia il boom avvenne negli anni Novanta e, secondo le statistiche mondiali, nel 2007 il cinquanta per cento della popolazione mondiale disponeva di un cellulare ma nell’arco di soli due anni la cifra era già cresciuta al 61. Sempre nel 2009, l’Autorità per le telecomunicazioni Agcom stabilì che i minuti di conversazione al cellulare avevano superato quelli da telefono fisso. Nel corso degli anni i “mobile” si sono evoluti nella forma e, soprattutto, nella tecnologia, passando dai primordiali sistemi analogici a sempre più raffinati standard digitali che, dalla sola comunicazione vocale oggi consentono di condividere foto, filmati, messaggi, navigare in rete, spedire email, fare videotelefonate e guardare la tivù. Ma il signor Cooper avrebbe mai immaginato che razza di “guaio” sarebbe finita l’umanità?

Il cubo di Rubik

Il cubo di Rubik

Nove quadratini dello stesso colore per ciascuna delle sei facce, ovvero 54 parti. Scopo del gioco è uniformare ciascun lato: è il Cubo di Rubik, tormentone per amanti dei rompicapo degli anni Ottanta. Il cubo, nella versione 3x3x3 (ne sono stati commercializzati sia di più grandi, per esempio il 4x4x4 detto Rubik’s Revenge, ma nel frattempo siamo a versioni a doppia cifra, sia di più piccoli come il Pocket 2x2x2), può assumere ben 43.252.003.274.489.856.000 (parliamo quindi di trilioni) di combinazioni possibili, e di queste solo una è quella corretta. L’invenzione di questo twisty puzzle si deve a Erno Rubik, un professore di architettura ungherese, che lo realizzò nel 1974 ma fu solo nel 1980 che la Ideal Toys lo diffuse il “Magic Cube” su larga scala vincendo nello stesso anno il premio Spiel des Jahres in Germania. Popolarissimo e imitatissimo, si ritiene sia il giocattolo più venduto della storia con i suoi oltre trecento milioni di pezzi.

Swatch, precisione economica

Swatch, precisione economica

Mentre l’industria degli orologi svizzera è nel pieno della peggiore crisi mai sperimentata sino a quel momento, Swatch – un sottile segnatempo in plastica dotato di soli 51 componenti (al posto degli abituali 91 o più) in grado di unire qualità superiore e resistenza all’acqua a un prezzo accessibile – scandisce la ripresa del settore. Lo Swatch, contrazione di “second” e “watch”, inteso come “secondo orologio” per distinguersi da quelli classici grazie alla sua veste casual, colorata, spigliata ed economica, introduce ben presto un nuovo stile di vita affermandosi tra gli orologi da polso più apprezzati al mondo. L’esordio, con una collezione di 12 modelli, avviene il primo marzo 1983. Il prezzo varia tra i 39,90 e 49,90 franchi svizzeri (intorno a 50mila lire in Italia).   Gli Swatch Store in tutto il mondo vendono milioni di pezzi e negli anni Ottanta se ne portano due o più, si usano per fermare i capelli a coda di cavallo e si attaccano ai vestiti (i grandi Pop). Nel tempo disegnano per il brand artisti famosi come Keith Haring, Jean-Michel Folon, Sam Francis e molti altri e nascono modelli tecnologici, con corpo in metallo (Irony), subacquei (Scuba), sottilissimi (Skin) e addirittura connessi a internet.

Hollywood, che effetti!

Hollywood, che effetti!

Gli effetti speciali entrano prepotentemente sul grande schermo e tracciano la via che li porterà poi a dominare dagli anni Novanta in poi. I film d’azione con Arnold Schwarzenegger (Conan il Barbaro, 1982) e Sylvester Stallone (Rambo, 1982) fanno storia e diventano subito cult generazionale e no al pari di Batman, per la regia di Tim Burton (oltre cento milioni di dollari al botteghino nei primi dieci giorni e tre sequel negli anni Novanta), e di capolavori di guerra come Nato il Quattro luglio e Platoon, firmati Oliver Stone, e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Le nuove tecnologie computerizzate portano linfa ai film di fantascienza e avventura e si assiste alla realizzazione di alcuni blockbuster. Solo per citarne alcuni, E.T. l’extraterrestre, record di incassi del decennio, Guerre stellari (L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi), Terminator, La cosa, La mosca, Predators, Aliens Scontro finale, Ritorno al futuro, Ghostbusters, I predatori dell’arca perduta (e i suoi sequel), Ladyhawke, La storia infinita, Highlander, Chi ha incastrato Roger Rabbit, Poltergeist...   Nella Hall of Fame degli anni Ottanta anche Shining, con un impareggiabile e indimenticabile Jack Nicholson, e tre commedie esilaranti come The Blues Brothers, forte anche di una colonna sonora a dir poco strepitosa e un cast stellare, L’aereo più pazzo del mondo e Una poltrona per due.

A me gli occhi: Wayfarer, Aviator o Shooter?

A me gli occhi: Wayfarer, Aviator o Shooter?

Gli anni Ottanta li abbiamo visti attraverso i Ray Ban, al tempo dotati di lenti Bausch & Lomb (oggi sono Luxottica) e – allora come oggi – i modelli di culto erano i Wayfarer di Dan Aykroyd e John Belushi nei Blues Brothers (1980) e di Don Johnson in Miami Vice (1984), gli Aviator di Tom Cruise “Maverick” e i Caravan in Top Gun (1986), gli Shooter, evoluzione del modello a goccia con il cerchiolino. Senza dimenticare gli Outdoorsman di Sylvester Stallone in Cobra. Il successo di questi film portò a un aumento vertiginoso delle vendite e nonostante tutti questi occhiali da sole fossero già stati immessi sul mercato nei decenni precedenti, furono proprio gli Anni Ottanta a decretarne il successo su vasta scala. Sempre in quel decennio arrivano le prime mascherine della serie Wings. Per dovere di cronaca, il prototipo realizzato nel 1937 e chiamato “Ray Ban Anti-glare” (ovvero che bandisce i raggi e anti-abbaglio) era stato ideato per salvaguardare la vista dei piloti.  

L’edonismo reaganiano di Quelli della notte

L’edonismo reaganiano di Quelli della notte

In due parole c’è tutto. Tanto la vacuità del momento quanto il decennio segnato dalle performance dall’attore Ronald Reagan nella magistrale interpretazione di presidente, con doppio mandato, degli Stati Uniti (1981-1989). Il conio di questo tormentone si deve a Roberto D’Agostino, “lookologo” della trasmissione Quelli della notte di Renzo Arbore e Ugo Porcelli, 33 esilaranti puntate con figure indimenticabili come Nino Frassica, Maurizio Ferrini, Andy Luotto, Marisa Laurito, Giorgio Bracardi e molti altri andate in onda dal lunedì al venerdì dall’aprile al giugno 1985. La gag buca rapidamente il piccolo schermo e l’edonismo reaganiano diventa nel giro di poco un modo di dire molto popolare. Battezzato addirittura dal filosofo Gianni Vattimo, che titola così un suo editoriale su La Stampa. La fantasia di D’Agostino, che al momento sembrava un divertente nonsense, diviene concretissima realtà il 26 gennaio 1994.

La mano de Dios e…

La mano de Dios e…

Nel torrido pomeriggio del 22 giugno 1986 Diego Armando Maradona epifanizzò a Città del Messico “la mano de Dios”. Siamo ai quarti di finale del Campionato del mondo di calcio e allo stadio Azteca si gioca un’Argentina-Inghilterra ferma, all’inizio della ripresa, sullo zero a zero. Tutto accade in un batter di ciglia: l’inglese Hodge alza un pallone in area di rigore, il portiere Shilton esce ma arriva Maradona. Il suo pugno sinistro spinge la sfera alle spalle dell’estremo difensore britannico e in fondo alla rete. «Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios», spiegò El Pibe de Oro nel post-partita, commentando quello che divenne “el gol del siglo”. Finì così che l’Argentina vinse il titolo battendo in semifinale il Belgio – doppietta di Maradona senza aiuto divino – e la Germania. Tra genio e sregolatezza, al Numero 10 che giocò nel Napoli dal 1984 al 1991 la città partenopea dedicò un altarino con un capello-reliquia e un convegno intitolato Te Diegum mentre a Rosario, in Argentina, è stata fondata la Iglesia Maradoniana,. Come conduttore del programma televisivo La Noche del 10 intervistò molti personaggi famosi, tra i quali Mike Tyson.  

… il pugno del diavolo

… il pugno del diavolo

Mike Tyson – o secondo il nome islamico Malik Abdul Aziz – è stato definito dall’emittente televisiva americana Espn, il peggior sportivo degli ultimi 25 anni. Ma questo è solamente il lato oscuro della medaglia di questo straordinario pugile americano perennemente in bilico tra talento e cieco furore ma capace, durante la sua ventennale attività da professionista, di disputare 58 incontri con il record di cinquanta vittorie (44 per ko), sei sconfitte e due no-contest. Il debutto di Iron Mike avvenne il 6 marzo 1985 e a farne le spese, in 107 secondi, è Hector Mercedes. Quell’anno il 19enne di Brooklyn salì sul ring 15 volte scendendone sempre vincitore; 11 volte lo fece senza nemmeno lasciar suonare il gong che sigla il termine della prima ripresa. Sport Illustrated, prestigiosissima rivista sportiva statunitense, gli rende onore con la copertina mentre nel 1986 e nel 1988 Ring Magazine lo elegge Fighter of the year. Impressionante il suo palmares, che lo vede cingersi della cintura dei massimi Wbc e Ibf dal 1986 al ‘90, Wba dal ’87 al ’90, Wbc e Wba nel 1996. Ma il declino segnato da condanne per stupro, carcere e scatti d’ira era già iniziato nel 1991. L’ultimo incontro lo vede opposto nel 2005 a Kevin McBride. Si ritirerà alla sesta ripresa, dichiarando in poi in conferenza stampa «di non voler discreditare con prestazioni deludenti questo sport a cui deve tanto».  

Eccessi di moda

Eccessi di moda

Spalle imbottite, top succinti, cotonature e gel sui capelli, tinte fluo. Sono gli anni delle giacche esagerate e dei jeans a vita alta con il maglione o la felpa infilati dentro, dei fuseaux (che oggi definiamo leggings e sono tornati di moda ma, eccezion fatta se si è una top model, rimane l’embargo) e dei colori accesi, che dall’abbigliamento e dagli accessori, spesso in plastica, non esitavano a passare al make-up e alla chioma. Maglie e T-shirt sono anch’esse vistose: sovradimensionate, spesso con le maniche a pipistrello, talora molto corte oppure aderenti se nel look sportivo. Impossibile dimenticare (e corre obbligatoriamente il sopraccitato richiamo al buon gusto) le inguardabili maglie a rete. Capospalla cult è il bomber – d’ordinanza quello verde con l’interno arancione –, trainato anche da indimenticabili blockbuster, mentre ai piedi sneaker e stivali da cowboy vanno per la maggiore. La bigiotteria è in linea, esageratamente grande e colorata. La moda degli Eighties occhieggia oggi da molte vetrine dedicate ai teenager.  

Generazione dell’effimero

Generazione dell’effimero

Soldi, carriera, look, aerobica. Roberto D’Agostino scrive nel libro Look Parade realizzato con Lucia Castagna (Sperling & Kupfer, 1985): «Oggi, in piena civiltà dell’immagine, si imposto un nuovo concetto, un nuovo effetto speciale, quello dell’apparire. Ognuno cerca di esibire quel mosaico di informazioni visive chiamato look. Attraverso un look l’uomo può evadere dall’universo ripetitivo della quotidianità dove ognuno assomiglia a chiunque altro, per scacciare l’ossessione più insopportabile di questi anni Ottanta: essere perdenti, non riscuotere il successo sociale, cadere nel cono d’ombra del banale quotidiano».   Così, nel disperato narcisismo di una generazione orfana di valori, l’esteriorità diventa l’obiettivo assoluto tra palestre, diete, chirurgia e trattamenti estetici e l’uniformarsi alla bellezza stereotipata lo scudo protettivo, uno status symbol consumistico ed effimero che trova nell’era repubblicana di Reagan l’imprimatur internazionale.  

Evviva è finita! Campioni del mondo!

Evviva è finita! Campioni del mondo!

«Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, evviva è finita! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!». Il telecronista Nando Martellini lo dice proprio tre volte, sottolineando così a quante ammontano, con quel successo, le vittorie iridate azzurre. La squadra del cittì Enzo Bearzot si compone del capitano Dino Zoff, Fulvio Collovati, Gaetano Scirea, Claudio Gentile, Antonio Cabrini, Gabriele Oriali, Giuseppe Bergomi, Marco Tardelli, Bruno Conti, Francesco Graziani, Paolo Rossi, Franco Causio, Alessandro Altobelli. L’11 luglio 1982 va in scena la finale fra Germania Ovest e Italia, che si conclude con l’indimenticabile 3 a 1.   Il Campionato mondiale di calcio del 1982, in Spagna, evoca sempre immagini toccanti: il presidente Sandro Pertini che fa il tifo e che gioca poi a scopone scientifico in coppia con Zoff contro Causio e Bearzot durante il viaggio di ritorno in Italia con la Coppa in primo piano, il capitano Zoff che prende i trofeo dalle mani di re Juan Carlos, l’urlo di Tardelli dopo aver segnato il gol del raddoppio. Miglior marcatore del torneo Fifa è Paolo Rossi, con sei gol.

Italiani, popolo di navigatori. Ma davanti alla tivù

Italiani, popolo di navigatori. Ma davanti alla tivù

Più che di navigatori, di velisti. L’avreste mai immaginato? Cinquanta milioni di persone che, di colpo, scoprono le onde e il fruscio del vento tra vele e sartiame. Una sorta di delirio collettivo. Ci si recava a fare colazione e invece dei sani, soliti, bolsi “discorsi da bar” sul calcio era una tempesta di spinnaker, boma, randa, winch, dritta e bolina. Bancari con l’orologio sul polsino “ingaggiavano” senza fine sui tatticismi mentre le signore più eleganti disquisivano sul colore dei fiocchi e perfezionavano l’uso del tangone. Che cosa stava succendendo in quella primavera 1883? Facile. L’Italia era entrata, per la prima volta nella storia, nel circus della Coppa America con Azzurra, messa in acqua dallo Yacht Club Costa Smeralda, e come un virus la passione per la grande vela si era diffusa al punto da incollare centinaia di migliaia di persone al piccolo schermo a notte fonda. Già, perché le acque teatro della Coppa erano quelle di Newport, Rhode Island, negli Stati Uniti. La barca, con Mauro Pelaschier al timone e lo skipper Cino Ricci, partecipa con onore al più antico trofeo sportivo del mondo per il quale si compete ancora oggi e termina al terzo posto mentre i “canguri” di Australia 2 strappano la vittoria agli americani. Il decennio vede un’altra partecipazione italiana all’America’s Cup. Nel 1987 ad Azzurra si aggiunge Italia, dello Yacht Club Italiano di Genova, ma per entrambe il risultato è deludente e la partecipazione del grande pubblico assai meno sentita.  

Tra disco e cantautori

Tra disco e cantautori

Come l’abbigliamento, anche la musica è scatenata, carica di spensieratezza e voglia di divertirsi. Ne sono esempi leggeri e ironici (spesso più intriganti della mera apparenza se ascoltati con spirito critico) Un’estate al mare di Giuni Russo (1982, scritta da Franco Battiato), Vamos a la playa (1983) e L’estate sta finendo (1985) dei Righeira. Nel 1988 sale alla ribalta Jovanotti con È qui la festa?. I ritmi sono orecchiabili, i giovani vogliono divertirsi. E ballare. Così, giocando sul ritmo sempre elevato, ce n’è per tutti. Qualche esempio. Arriva Vasco Rossi con Bollicine (1983) e alcuni i cantanti scelgono la lingua inglese come Raf (Self Control, 1983), Spagna (Easy Lady del 1986 e Call me del 1987) o l’esplosiva Sabrina Salerno (Boys, 1987). Impossibile non citare poi Rettore con lo ska Donatella (1981) e Kamikaze rock’roll suicide (1982), Io ho te (1983).   Ma c’è anche un aspetto diverso della musica italiana di quel decennio. Vanno per la maggiore gli impegnati Roberto Vecchioni, Fabrizio De André, Franco Battiato, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli e i più romantici Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Cosa resterà degli Anni 80 se lo chiese Raf nel 1989.  

Madonna! E sono sciolti gli Abba...

Madonna! E sono sciolti gli Abba...

Sulla scia di un’esterofilia nata sul finire del decennio precedente gli Anni Ottanta battezzano rapidamente alcuni artisti; tra i primi a trasformarsi in tormentoni furono, per esempio, Saturday Night Fever dei Bee Gees (sulla scorta del film), Hot Stuff di Donna Summer, I will survive di Gloria Gaynor e altri miti della disco dance.   Ma non sono tutte rose. L’8 dicembre 1980 viene ucciso da Mark David Chapman l’ex Beatle John Lennon, divenuto bandiera del pacifismo, e l’11 maggio 1981 il re del reggae Bob Marley muore nell’ospedale di Miami. Ma show must goon e nel 1982 esce il film dei Pink Floyd The Wall, i Rockets pubblicano Atomic, gli Iron Maiden The Number of the Beast, con il vocalist Bruce Dickinson, e Michael Jackson pubblica Thriller, l’album più venduto nella storia della musica. nel frattempo si erano sciolti gli Abba, gruppo svedese icona degli Anni Settanta, che, si stima, abbia venduto oltre 375 milioni di dischi in tutto il mondo. Nel 1984 il Boss Bruce Springsteen fa uscire Born in the Usa, successo galattico. I Guns N’ Roses si esibiscono per la prima volta nel 1985 e nel luglio dello stesso anno si svolgono in contemporanea i due concerti Live Aid, a Filadelfia e a Londra. Sempre nell’85 arrivano Brothers in Arms dei Dire Straits (vende oltre trentamila copie, anche su cd) e Slippery when wet firmato Bon Jovi. Bellissimi, nel 1984 Time after Time di Cindy Lauper e, nel 1988, Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler. E si apprezzano i Duran Duran, gli Spandau Ballet, i Depeche Mode, i Pet Shop Boys, Police, A-ha, Rem, Metallica, Ultravox. Nascono il synthpop, il new wave, il rap e l’hip-hop.   Nel frattempo, in attesa di trovare una risposta alla domanda di Raf, sul panorama internazionale arriva il ciclone Madonna e la musica diventa show a tutti gli effetti. Anzi, con tutti gli effetti. Nel 1985 siamo tutti Like a Virgin...  

Milano da bere. Per dimenticare

Milano da bere. Per dimenticare

L’espressione dedicata al capoluogo lombardo dell’era craxiana e centro del potere emanato dal Partito socialista italiano identifica perfettamente le debolezze e le vacuità del decennio. Arrembante, pronto a tutto, con un benessere percepito su vasta scala e quindi origine di una propensione a spendere (spesso più del possibile) anche solo per apparire. La definizione, poi applicata su vasta scala dalla stampa, deriva una celebre campagna pubblicitaria ideata da Marco Mignani nel 1985 per l’Amaro Ramazzotti. Lo slogan divenne, allo scoppio di Tangentopoli, il cavallo di battaglia per evocare la spregiudicatezza di politici e imprenditori oggetto dell’inchiesta Mani pulite. Tra yuppie, moda e arrivismo Milano da bere fa da quinta, oltre che a un’infinità di illeciti, anche a una filmografia che spazia da Sogni d’oro di Nanni Moretti (1981), alle pellicole firmate Vanzina, fino alla serie televisiva di Italia 1 del 1989 dedicata a Valentina (l’attrice Demetra Hampton), figlia della seducente matita di Guido Crepax.  

Bye bye nastro, il futuro è compact

Bye bye nastro, il futuro è compact

La musicassetta, a sua insaputa e l’agonia non sarà breve perché proprio in questo decennio sembra più il salute che mai, muore il 17 agosto 1982, giorno in cui la Philips stampa in una fabbrica di Hannover il primo compact disk commerciale con la Sinfonia Alpina di Richard Strauss interpretata dalla Berliner Philharmoniker diretta da Herbert Von Karajan. Per quanto riguarda la musica leggera, il primo album pop sul nuovo supporto fu The Visitors degli Abba ma, nell’ingresso sul mercato fu battuto sul filo di lana 52nd Street di Billy Joel, commercializzato dal 1º ottobre 1982 in Giappone insieme al lettore.   Per la cronaca, la configurazione definitiva del cd risale al 1979 e a una joint venture Philips-Sony: il disco di policarbonato trasparente accoppiato a un sottile foglietto metallico capace di memorizzare le informazioni è molto piú capiente e resistente delle cassette e si comprende facilmente il suo rapidissimo successo in tutti i campi.

La coscienza diventa verde

La coscienza diventa verde

Il decennio è segnato da gravi incidenti ambientali, quali l’esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl e il naufragio della Exxon Valdez, superpetroliera della ExxonMobil che nel 1989 si incagliò in una scogliera dello stretto di Prince William, in Alaska, disperdendo in mare circa cinquanta milioni di litri di petrolio. Fu un disastro marino di proporzioni bibliche, le cui conseguenze si sono protratte per i decenni a seguire. Nel mondo e in Italia si fa strada una coscienza ambientale (da noi anche sulla dolorosa scorsa della fuga di diossina dall’Icmesa di Meda, vicino Milano) e diventano popolari le associazioni ambientaliste e animaliste. Prende così vita un movimento trasversale alla politica e agli status che si pone come obiettivo un risparmio delle risorse del pianeta, in contrapposizione con la visione sfacciatamente consumistica del decennio.   Dopo la scoperta di un buco nella fascia dell’ozono sopra il Polo Sud, alla fine degli Anni Ottanta nel nostro Paese viene bandito il freon delle bombolette spray, ritenuto tra i responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono terrestre ai poli.  

Olimpiadi, decennio di boicottaggi e doping

Olimpiadi, decennio di boicottaggi e doping

Nel 1980, per protestare contro l’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe dell’Unione sovietica, quindici Paesi occidentali boicottano i Giochi Olimpici di Mosca, che passeranno alla storia come le Olimpiadi dimezzate. Quattro anni dopo, pan per focaccia. Nel 1984 l’Unione Sovietica e 13 suoi Paesi satelliti, eccezion fatta per la Romania, boicottano i Giochi di Los Angeles. Lo spirito di De Coubertin e delle Olimpiadi greche, capaci i fermare le guerre per consacrare la purezza e la fratellanza dello sport sono lontani anni luce. Sui cinque cerchi, a Seoul, nel 1988, cala poi come una mannaia lo scandalo del doping. Capro espiatorio di un intero sistema è un atleta canadese di origine giamaicana, campione mondiale indoor dei 60 metri piani nel 1985: Ben Johnson. In Corea corre la finale dei cento metri piani e ferma il cronometro su 9”79. Tre giorni risulterà positivo ai test antidoping; verrà squalificato, vittoria e record del mondo annullati. In quegli anni, molti altri campioni vennero accusati di fare uso di sostanze stupefacenti.

Dylan Dog, sophisticated horror comedy

Dylan Dog, sophisticated horror comedy

Nel 1986 nasce, in casa Bonelli, una delle figure più amate del mondo dei fumetti. È il tenebroso e affascinante detective privato dell’occulto Dylan Dog. Così leggiamo nel sito del suo editore: “La paura lo affascina, ne ha fatto un mestiere. Creato da Tiziano Sclavi, Dylan Dog è il più celebre protagonista di una serie horror italiana, anche se “horror” è una definizione limitativa... Le sue avventure hanno infatti alternato l’orrore tradizionale con numerosi “omaggi” ai mostri classici - Frankenstein, l’Uomo Lupo, Dracula e tanti altri -, allo splatter moderno dei film di Dario Argento e George Romero, ma anche al giallo, al surreale e al fantastico in genere, sempre comunque con grande ironia, ed evolvendosi, nel corso degli anni, verso una sorta di “sophisticated horror comedy”. Con questi ingredienti, dapprima lentamente e poi in un crescendo sbalorditivo, è esploso il “fenomeno Dylan Dog”, diventato il fumetto più venduto in Italia (tra inediti e ristampe ha raggiunto il milione di copie mensili). Non soltanto: per la prima volta, un fumetto a larga diffusione popolare si è anche affermato come fumetto d’autore, osannato dalla critica e dagli intellettuali più famosi”.  

Io ne ho viste cose…

Io ne ho viste cose…

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Un monologo tra i più famosi e citati a livello mondiale. A pronunciarlo non è un umano bensì Roy Batty, modello da combattimento Nexus 6, al secolo Rutger Hauer, ed è rivolto al cacciatore di replicanti Rick Deckard (Harrison Ford). Con Blade Runner, il suo capolavoro senza tempo (senza nulla togliere ai lungometraggi successivi) Ridley Scott marchia così gli Anni Ottanta fin dall’inizio – era il 1982 –, portando nel quotidiano, accompagnato dalla colonna sonora di Vangelis, l’era dei computer, antropomorfi e no. Ispirato liberamente al romanzo “Do Androids Dream of Electric Sheep?” di Philip K. Dick, con le sue atmosfere cyberdark questo film è stato scelto nel 1993 per essere conservato nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso statunitense mentre l’American Film Institute lo ha inserito nella Afi’s 100 Years... 100 Movies. Del film esistono oggi almeno sette versioni.  

Domenica tutti al Drive in

Domenica tutti al Drive in

Prorompenti ragazze Fast food in abiti succinti, personaggi irresistibili, gag veloci, balletti, sketch esilaranti proposti con una regia dal ritmo serrato. È un successo del piccolo schermo il programma comico ideato e scritto da Antonio Ricci in collaborazione, nelle varie edizioni, con Alessandro Piccardo, Ezio Greggio, Franco Mercuri, Aldo Rami, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Michele Mozzati, Gino Vignali, Gennaro Ventimiglia, Matteo Molinari. La prima edizione di Drive in trovò spazio il martedì sera ma già dal secondo anno passò alla prima serata della domenica di Italia 1: dal 1983 al 1988 fu questo l’appuntamento imperdibile di milioni di italiani. La regia, di Giancarlo Nicotra nel 1983 e di Beppe Recchia poi, offriva la possibilità di inserimenti pubblicitari lasciando integro il ritmo del programma, soluzione perfetta per la neonata televisione commerciale.   A tenere alto il ritmo della trasmissione, tra gli altri, Carmen Russo, Cristina Moffa, Tinì Cansino, Lory del Santo, Eva Grimaldi, Francesco Salvi, Zuzzurro e Gaspare, Ezio Greggio, Giorgio Faletti, Teo Teocoli, Sergio Vastano, Gianfranco D’Angelo, Carlo Pistarino, Enzo Braschi, i Trettré, Enrico Beruschi, Margherita Fumero, Ambra Orfei, Syusy Blady, Elle Kappa, Gialappa’s Band, Massimo Boldi.  

1980, addio alle armi. Rimane la nebbia

1980, addio alle armi. Rimane la nebbia

Il primo anno del decennio fa registrare gravi fatti di sangue e segna la fine degli Anni di piombo. Minimo comune denominatore, la nebbia che ancora avvolge alcuni tragici episodi. Il 27 giugno, nel cielo di Ustica esplode un aereo Itavia partito da Palermo e diretto a Bologna. Perdono la vita 81 persone, i cui familiari sono ancora in attesa di conoscere i nomi dei colpevoli. Il 2 agosto la Stazione di Bologna è devastata da una bomba che causa la morte di 85 persone e ne ferisce oltre duecento. È il più grave attentato nella storia della Repubblica Italiana e anche in questo caso permangono molti dubbi sui mandanti e gli esecutori.